Un gioco spiccatamente offensivo, fortemente caratterizzato e, soprattutto, riconoscibile. Nei motivi che hanno spinto l’Empoli a puntare su Pasquale Marino c’è sicuramente il curriculum del tecnico di Marsala, ma anche quella capacità di dare alle sue squadre un qualcosa che agli azzurri in questa stagione è sempre mancato: un’identità.

Da giocatore, Marino era un regista dotato di buona tecnica e geometrie. Da allenatore, uno capace di far giocar bene le sue squadre e divertire i tifosi. Ne sanno qualcosa a Catania e soprattutto Udine, dove l’allenatore siciliano ha raccolto le maggiori fortune. Il suo è un 4-3-3 divertente e offensivo, un modulo pensato per proporre calcio a ritmi alti e sfruttando molto un concetto, quello delle verticalizzazioni, che anche Bucchi aveva provato a proporre ma senza troppo successo.

La sua resta una storia di alti e bassi. Dopo l’Udinese ha vissuto momenti altalenanti con Parma, Genoa e Pescara, ma tra i motivi che hanno indotto l’Empoli a puntare su di lui potrebbe esserci anche la sua avventura sulla panchina del Vicenza nel 2014: subentrato a ottobre con la squadra al terz’ultimo posto, riuscì a trascinare i biancorossi fino ai play-off dove venne eliminato dal Pescara. In mezzo la deludente esperienza a Brescia, ma anche l’avventura a Frosinone: terzo per differenza reti, uscì ai play-off contro il Carpi perdendo in casa in 9 contro 11.

Lo scorso anno, però, ha avuto un’esperienza eccezionale allo Spezia, condotto fino a un obiettivo, quello dei play-off, che non era assolutamente nei piani. Questo lo aveva riportato ad allenare in una piazza di prima fascia, cioè a Palermo, ma il fallimento del club rosanero lo ha lasciato senza panchina.