
Nell’ultima puntata di Incontro Azzurro, negli studi di Radio Lady, è venuto a farci visita il calciatore dell’Empoli Salvatore Elia. Con Elia abbiamo parlato dell’ultima partita contro lo Spezia, del rapporto con l’allenatore, con la squadra e di temi profondi come l’importanza del mental coach.
Spazio anche a curiosità e aneddoti. Rivivi la puntata sul canale You Tube di Incontro Azzurro:
Che partita è stata contro lo Spezia, una squadra che conosci bene?
«Sapevamo che contro lo Spezia sarebbe stata una partita molto tosta e infatti siamo contenti di essere riusciti a recuperarla. Essendo un ex l’ho vissuta con un’emozione particolare rispetto alle altre, perché sono quelle gare che ti regalano sensazioni diverse: non vedevo l’ora di giocarla.»
Nel primo tempo avete sofferto un po’, cosa è cambiato nella ripresa?
«Abbiamo approcciato non nel migliore dei modi, ma poi la forza del gruppo è venuta fuori e siamo riusciti a raddrizzarla. Il mister lavora tanto su questo aspetto, sul collettivo: in Serie B viene prima il gruppo e poi il resto. Lui ci tiene sempre con la testa e la mentalità giusta per non mollare di un centimetro.»
Il tuo legame con Popov e la capacità di adattarti su entrambe le fasce sono ormai evidenti: come vivi questo aspetto?
«Il feeling con Popov sta diventando un bel binomio. Ho la fortuna di riuscire ad adattarmi sia a destra che a sinistra: il mio ruolo naturale è a destra, ma anche a sinistra mi trovo bene perché ho più possibilità offensive. È una duttilità che mi fa piacere avere, perché può sempre servire.»
Quanto è importante il supporto del pubblico per voi?
«I tifosi sono fondamentali: ci danno quella spinta in più che in certe partite ti permette di andare oltre i tuoi limiti. Siamo felici di averli dalla nostra parte e speriamo di sentirli sempre vicini.»
Come ti sei ambientato a Empoli e nello spogliatoio?
«L’accoglienza è stata bellissima, sia da parte dei compagni che del mister. Formare un gruppo da zero non è mai semplice, ma qui ci sono ragazzi umili, con voglia e determinazione: così diventa tutto più facile. Anche con Fulignati, che conoscevo dai tempi di Perugia, ci siamo ritrovati subito bene.»
Sei uno dei più esperti nello spogliatoio nonostante la giovane età: che sensazione ti dà?
«Quest’anno mi ritrovo a essere uno dei più esperti, ed è una responsabilità che vivo con orgoglio. Avere ragazzi che ascoltano e hanno la mentalità giusta mi motiva a dare consigli e a contribuire alla loro crescita.»
Sull’obiettivo salvezza dichiarato dalla società come ti sei posto?
«In Serie B bisogna partire con umiltà. L’anno scorso allo Spezia eravamo partiti pensando alla salvezza e poi ci siamo ritrovati in finale playoff. Prima pensiamo a raggiungere la salvezza, poi vedremo dove potremo arrivare.»
Come ti sei trovato con Ilie, che ti ha servito anche un assist?
«Con Ilie, come con tutti i compagni, mi trovo bene. Il mister ci rende sempre partecipi, ci dà idee chiare e questo facilita i rapporti in campo.»
Il mister ha speso belle parole per te, ma alla fine sei uscito per stanchezza: che gara è stata?
«Io cerco sempre di dare il massimo, sia in allenamento che in partita. Contro lo Spezia avevo speso tantissimo ed ero arrivato quasi ai crampi, per questo ho chiesto il cambio: sarei rimasto fino alla fine, ma non ce la facevo più.»
Come te la cavi sulle palle inattive?
«Non sono mai stato un battitore naturale: l’ho fatto solo una volta, lo scorso anno ai playoff, ma per necessità. In squadra penso che Ilie sia quello più bravo.»
Che impatto ha avuto la mancata promozione con lo Spezia sulla tua carriera?
«È stata una botta dura: per una settimana non ho parlato con nessuno, nemmeno con la mia famiglia. Però nel calcio bisogna resettare e ripartire: io l’ho fatto con ancora più voglia di fare meglio.»
Sei nato a Prato ma cresciuto a Lecco: che percorso hai fatto da ragazzo?
«Dopo l’asilo mi sono trasferito a Lecco e lì ho fatto tutta la mia vita. Da ragazzo ho iniziato a viaggiare tutti i giorni per allenarmi a Bergamo con l’Atalanta: uscivo alle 7 di mattina e tornavo la sera alle 8. È stato faticoso, soprattutto perché a quell’età fai sacrifici che non sai se ripagheranno, ma la passione è stata più forte di tutto.»
Che ricordo hai del tuo percorso nel settore giovanile dell’Atalanta?
«All’Atalanta ho fatto tutta la trafila fino alla Primavera, con compagni come Bastoni, Colpani e Zortea, e poi altri come Carnesecchi e Kulusevski. Un settore giovanile che mi ha formato tantissimo.»
Poi sono arrivate Juve Stabia, Palermo e Spezia: cosa ti hanno lasciato queste esperienze?
«La Serie C è stata fondamentale: un campionato durissimo, che ti forma dal punto di vista fisico e mentale. A Palermo, invece, ho dovuto affrontare un infortunio serio al ginocchio: è stata dura, non dormivo dal dolore, facevo sei ore di terapie al giorno. Ma quelle prove ti rafforzano, soprattutto se lavori anche sulla testa.»
Proprio sulla testa: lavori con un mental coach, giusto?
«Sì, da circa cinque anni. Non voglio portare la negatività a casa, preferisco sfogarmi con chi è preparato. Ogni calciatore dovrebbe avere un supporto del genere: ti aiuta a gestire pressioni, infortuni, delusioni.»
Fuori dal campo, quanto spazio lasci al calcio e quanto ad altro?
«Seguo solo la mia categoria per studiare gli avversari, ma poi preferisco dedicarmi ad altro, come lo studio (sto facendo Scienze Motorie), la palestra, la Playstation. Mi aiuta a staccare.»
Il grande tatuaggio del Joker sulla schiena: come è nato?
«L’ho fatto in una sola seduta di 9-10 ore. Mi piace il Joker perché, al di là del personaggio, rappresenta l’idea di affrontare la vita sempre col sorriso, in ogni circostanza, positiva o negativa.»

