Il tecnico dell’Empoli, Aurelio Andreazzoli, è stato l’ospite della puntata di Incontro Azzurro di giovedì 17 maggio sulle frequenze di Radio Lady.
L’allenatore dell’Empoli, subentrato in corsa a Vivarini, ha commentato una stagione straordinaria che ha visto gli azzurri vincere il titolo: “La percezione all’esterno è che tutto sia stato facile. Fuori dal nostro ambito territoriale c’è la percezione dell’impresa. Dentro allo spogliatoio ancora non ci siamo resi conto di cosa è successo”.
Raramente una squadra domina così la Serie B: “Non ho ricordo di piccoli passi o tappe intermedie che ci hanno portato dove siamo arrivati. Prima eravamo dietro, poi siamo andati davanti e siamo rimasti lì con una bella cavalcata. Abbiamo lanciato il cuore oltre l’ostacolo e ce ne stiamo accorgendo adesso, grazie all’affetto che stiamo ricevendo anche dalla città”.
L’impresa è stata quella di ricreare entusiasmo a Empoli: “Prima di venire alla radio stavo caricando l’automobile e ho trovato una persona anziana con la quale ho fatto due chiacchiere. Era molto felice e mi raccontava dell’infelicità dell’anno scorso. E’ servita per essere ancora più contenti oggi”.
Il sistema di gioco lo avevi già in mente? “E’ nata e si è basata sui valori del gruppo. Le idee prendono corpo quando ci sono elementi che ti permettono di poterlo fare. Ho cercato di fare sempre un certo tipo di calcio. Nei primi vent’anni della mia carriera, anche se poi ho preso una pausa quando ho fatto il collaboratore. Ho maturato la convinzione che dare un gioco a una squadra non era una cosa problematica o così lunga da dover proseguire. Volevo verificare se questa teoria che avevo in testa erano solo chiacchiere o potevano essere riprodotte nella realtà”.
C’è qualcosa di Luis Enriques nel gioco dell’Empoli? “E’ un calcio che mi piace, molto propositivo e che propende ad avere sempre il controllo della gara. Se vuoi avere questa possibilità ti devi proporre in qualsiasi settore di campo. Il gioco del calcio è anche semplice per sua natura: dobbiamo mettere la sfera nell’obiettivo, la porta, superando degli spazi. E’ come superare questi spazi che cambia tutto. Noi cerchiamo di farlo con un’idea e con un obiettivo comune“.
Le squadre che vincono sono quelle che hanno un’idea di calcio: “Il segreto sia quello di riuscire le qualità ai calciatori. Mettendoli nel terreno di gioco dove loro si sentono più a loro agio, per poter far emergere le caratteristiche tecniche e sopratutto l’aspetto ludico. Se il tipo di gioco ti da soddisfazione sei già a metà dell’opera. Se divertirsi, e sopratutto farlo correndo meno, è tutta un’altra cosa rispetto al subire continuamente. Se dipendo da me e non da altri ho più soddisfazione”.
L’aspetto ludico è molto importante, anche se se ne parla poco: “Non si chiama calcio e basta, si chiama gioco del calcio. Al calcio di oggi vengono a mancare le strade, le piazze e i cortili. E’ una parte di verità, perché nasce da lì il primo sentimento che poi va coltivato”.
A Roma ancora si ricordano la finale di Coppa Italia… “Il derby fu l’ultima gara della stagione ed è normale che a rimanere fosse quello. Perdere la finale a Roma contro la Lazio cancellò tutto ciò che di buono era stato fatto. Anche lì subentrai in corsa e ottenemmo ottimi risultati. Diventammo la seconda difesa del campionato dopo la Juventus e arrivammo davanti alla Lazio che era 8-9 punti davanti a noi. I risultati di quest’anno sono stati ancora più straordinari, ma torneranno anche quelli“.
Tra tutti i campioni con i quali hai lavorato quale ti ha colpito? “Totti, la risposta è facile. L’ho visto al culmine della sua carriera, ma si infortunò proprio a Empoli. Nonostante questo l’ho conosciuto che aveva appena superato i 100 gol e lui mi ha portato a oltre 300. Mi ha fatto alzare tante volte. La finta di Taddei? Mi ero sbattuto per fare la mia onesta carriera, dopo 25 anni che ero in giro per il mondo. Nel caso di Rodrigo Taddei sono andato alla ribalta internazionale per non aver fatto niente. Lui ripeteva questa finta in allenamento. Allora lo sfidai e gli dissi di farla in gara: il caso volle che in Champions la provò in campo e lui me la affibbiò in conferenza stampa”.
Entrare in corsa in uno spogliatoio non è mai semplice: “La mia concentrazione in quel momento era da tutta un’altra parte, anche la conferenza stampa di presentazione non è stata facile per me. Alcuni giocatori erano molto legati anche all’allenatore precedente e accettare una situazione del genere per i calciatori era un bell’esame. Lì o ci sei o è finita per me. Ti danno una chance e vogliono vedere cosa sei capace di fare un campo. La situazione è delicata, ma se dopo tu hai da dare otterrai”.
Come sarà affrontare la Serie A con l’Empoli? “E’ particolare, c’è un bello scalino tra la B e la A. Sappiamo quali saranno le difficoltà. Il gruppo dirigenziale è fantastico e con le idee chiare. Il presidente è partecipativo, i due direttori sono giovani ed emergenti. La figlia del presidente sta emergendo col suo impegno, così come l’amministratore delegato. Sanno come funziona il calcio e hanno fatto le dovute esperienze. Il gruppo funziona, ma dovremmo essere bravi a integrarla e a rimanere tranquilli. E’ la media che ti porta a destinazione. Se tu vinci una partita da tre punti e poi ne perdi due alla fine hai un punto, che è la media per salvarsi”.