
Attraverso le pagine del Tirreno, l’amministratore delegato azzurro Francesco Ghelfi ha parlato del sequestro di soldi sul conto corrente dell’Empoli in merito alla rateizzazione dell’Iva non versata nel 2014 e della sentenza del tribunale avvenuta nei giorni scorsi. «Sarebbe giusto definirci evasori se l’Empoli non rispettasse le scadenze – dice – ma così non è. Sappiamo che esiste una sentenza della Cassazione che, in questo senso, parla chiaro. Quindi siamo di fronte a un intervento legittimo, o almeno legittimato dalla legge. Però diciamo che non siamo stati fortunati perché non si sono visti altri aspetti della vicenda che, a nostro avviso, dovevano portare a un’interpretazione differente».
E sarebbero? «Ad esempio che l’Empoli non ha mai mancato una sola rata. E che, negli ultimi 6 mesi, aveva già estinto il debito relativi ai tributi del 2012 e del 2013. Ma non solo».
Si spieghi. «Una società di calcio ha tanti vincoli, tanti lanci. Non è un’azienda normale. Ad esempio non si può sgarrare sui pagamenti di stipendi, contributi e Iperf. I regolamenti, però, consentono una rateizzazione dell’Iva. Così come la norme tributarie. Per l’ordinamento penale, però, si tratta di un reato». Che, quindi, è stato commesso… «Certo. Non mi nascondo e non ci nascondiamo. Ma il buonsenso, a mio avviso, consiglierebbe di perseguire chi non paga la rate e non lo ha fatto in passato».
Cosa dà più fastidio. «Il danno d’immagine. Perché l’Empoli è una società seria, sana, non una banda di furbetti del fisco. E non merita questa etichetta che gli è stata cucita addosso».